Tutto è, soprattutto in arte, teoria sviluppata
e applicata a contatto della natura. Sono parole che in sostanza
ci dicono come, rispetto a produrre un’opera d’arte non
esistono idee anteriori e neppure posteriori. In altre parole, cioè,
un pittore quando è tale, si inventa, direi via via che procede
nella sua strada. La sollecitazione gli viene dall’esterno,
provoca, evidentemente in lui delle idee, le quali a loro volta agiscono
sull’operante. Un processo quasi automatico, per cui c’è una
dipendenza strettissima fra mondo esterno e mondo interno; tutto
questo discorso, questa argomentazione mi è sorta trovandomi
di fronte al curioso problema della pittura di Saverio Magno, il
quale in un particolare momento della storia della sua pittura, riesce
a tradurre, con estrema sensibilità, il senso tutto suo della
natura e delle forze elementari di essa, in termini di pittura se
non astratta quasi informale.Una sorta si profonda compenetrazione
con i suoi fondi marini, in cui l’ambiente si fa “spugna
di sensazioni” e coglie in un istante la durata e lo spessore
di miriadi di sfavillanti elementi, nutriti da imprevedibili flussi
di luce, attraverso minimi rilievi e “nuance”di toni
che comprendono quasi tutta la gamma di verdi, viola e grigi perla.
Il contesto in cui Saverio Magno, sembra volersi svincolare da ogni
limitativa in grazia del mezzo e al fine di arricchire liberamente
il suo discorso pittorico, ultimamente ha raccolto l’estensione
della sua pittura; in cui compaiono brani i quali contengono tutti
i valori della pittura informale, sono questi suggestivi “frammenti
marini” la cui importanza estetica è accresciuta dal
fatto che essi non rimangono fini a se stessi, ma tendono a costruirsi
in una visione completa e comunicativa.
Umberto Zaccaria (Modena 1998)